Ho sempre pensato che lo scrittore e il traduttore hanno diversi punti in comune: entrambi viviamo di parole, talvolta passando ore alla ricerca di quel vocabolo elusivo che riesce a dare alla frase il senso desiderato; entrambi passiamo ore seduti alla scrivania, ricurvi sul laptop o su un quaderno, o tutti e due; ed entrambi ci ritroviamo a lungo in compagnia di noi stessi.
So di autori che montano baracca e burattini al bar. Immagino si tragga molta ispirazione dalla varietà di genere umano che affolla una caffetteria, ma non fa per me. Quando traduco ho bisogno di una buona dose di silenzio per far fluire le parole.
Invece quando scrivo, come adesso… datemi un cesso da pulire, panni da stirare o piatti da lavare… qualunque cosa pur di non dovermi trovare di fronte alla pagina bianca. Ma a conti fatti, che tu faccia lo scrittore o il traduttore, che tu scriva con un sottofondo musicale o immerso nel silenzio, è innegabile che abbiamo scelto una forma d’arte piuttosto solitaria.
Allora perché lo facciamo?
Naturalmente posso solo parlare per esperienza personale. Innanzitutto sono introversa, e dunque posseggo un’inclinazione naturale a prendere le distanze dalle persone - ma sarebbe riduttivo ricondurre tutto a un tratto caratteriale.
Ho sempre letto - ho cominciato a divorare libri da bambina e arrivata ai sedici anni, ho iniziato a leggere i libri nella loro lingua originale. Mi sono subito resa conto che non avrei potuto scambiare opinioni sullo stile di scrittura, condividere i passaggi preferiti o l’entusiasmo per una parola o un’espressione, perché nel mio giro di amicizie nessuno era in grado di leggere un intero libro in lingua originale. La necessità di condividere quelle parole con altri è stata probabilmente la forza trainante che mi ha spinto a iniziare a tradurre, molto prima di frequentare la scuola per traduttori.
Le parole dell’autore erano già lì, pronte a essere condivise - la traduzione era semplicemente un mezzo per rendere quelle parole e pensieri accessibili a un pubblico più vasto. E la consapevolezza che qualcuno avrebbe letto quelle stesse parole in un’altra lingua, traendone lo stesso significato della lingua originale, mi ricompensava delle ore passate a tradurre, revisionare ed editare in solitudine.
Ancora una volta, forse solo uno scrittore può capire l’esultanza che un traduttore prova quando trova la parola o la frase giusta a trasmettere lo stesso senso o significato in un’altra lingua, perché la comunicazione dopotutto è ciò che ci aiuta a comprendere i sentimenti, i pensieri e le emozioni dell’altro, e che ci aiuta a diventare una società migliore.
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