Quando mi sono diplomata alla Scuola Superiore per Interpreti e Traduttori di Roma nel… un numero imprecisato di anni fa, avevo grandi programmi. Programmi che poi hanno dovuto fare i conti con la realtà e con le varie svolte che ha preso la mia vita.
Comincio lavorando come traduttrice tecnica per un paio di agenzie nell’epoca in cui TRADOS muove i primi passi e i glossari sono ancora file di Excel o Word. Ma ben presto mi rendo conto che passo più tempo a sbadigliare che a tradurre, e che quel ramo non fa davvero per me.
La mia vere passioni - il cinema e la letteratura - erano campi in cui era difficile sfondare come traduttore, e comunque non avrebbero pagato le bollette, e così metto da parte il sogno di guadagnarmi da vivere come traduttrice freelance di copioni cinematografici o di narrativa e utilizzo le abilità linguistiche per trovare un lavoro da scrivania con uno stipendio fisso.
Ma la voglia di tradurre non mi è mai passata.
Un giorno leggo per caso un annuncio: un’agenzia di servizi editoriali per un’importante casa editrice italiana cerca traduttori. Non ci penso due volte e invio il curriculum.
E così comincio a tradurre come attività parallela, perché non mi sarei potuta permettere di lasciare il mio altro lavoro, quello che paga l’affitto e le bollette. All’epoca traducevo saggi. Ricordo ancora le notti passate in bianco per rispettare le scadenze di consegna, specialmente quando c’era da compilare la bibliografia. A un certo punto però scoppio. Il gioco non vale la candela, e nemmeno la salute, soprattutto quella mentale. E così decido di abbandonare “l’hobby” delle traduzioni e concentrarmi sulla famiglia.
Passa qualche anno, e dopo la nascita di mia figlia decido di fare un altro tentativo. Immagino che a livello inconscio fossi sempre alla ricerca di qualcosa di più, qualcosa che potesse darmi quel senso di soddisfazione e realizzazione che il mio altro lavoro non mi dava - sebbene mi piacesse molto.
La vita si intromette di nuovo ed ecco che mi ritrovo nel 2016. Nuova città, nuovo paese e vita nuova. Ero appena uscita da un anno piuttosto difficile. L’umore non era al massimo, ma avevo una figlia da crescere, ora come madre single.
In un tranquillo pomeriggio domenicale, ricordo che stavo “sfogliando” il Kindle alla ricerca di qualcosa da leggere come diversivo. Mi imbatto in un romanzo rosa. Non so perché, ma il titolo cattura la mia attenzione e compro il libro. Mi sento immediatamente risucchiata in quel mondo dalla prima pagina. C’è qualcosa in quei personaggi, nelle loro interazioni e nell’ambientazione che mi invoglia a continuare a leggere. Lo finisco in un paio di giorni e vado alla ricerca di altri libri scritti dalla stessa autrice. Trovo una serie completa di tre libri, che divoro. Poi passo ai suoi vecchi romanzi. Persino i romantic suspense, un genere che non amo particolarmente.
Ma quel primo libro continua a ronzarmi nella testa anche nelle settimane successive finché non decido di contattare l’autrice per proporle una collaborazione. Mi dice che sfortunatamente ha appena venduto i diritti di traduzione per l’Italia a una casa editrice… ma il caso vuole che sia la stessa casa editrice con cui avevo collaborato anni prima e così finisco col tradurre tutta la serie, nonché i suoi libri successivi, sempre acquistati dalla casa editrice.
Quel primo romanzo ha cambiato completamente il mio giudizio della letteratura rosa, che ammetto era prevenuto.
Il libro era Paper Hearts e l’autrice Claire Contreras.
Da allora ho letto e tradotto un nutrito numero di “chick lit” e credo fermamente che i romanzi rosa meritino di prendere posto sugli scaffali delle librerie accanto alle opere di Blake, Steinbeck o Pirandello. Perché come ogni opera letteraria, alcuni romanzi rosa sono dei capolavori che nascondo intuizioni e rivelazioni sulla vita, l’amore e la perdita. Mentre altri vorrei non averli mai letti.
Ma questo ve lo racconto un’altra volta...
originariamente pubblicato in lingua inglese il 7 ottobre 2020
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